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Dungeon Lore: Frostvault

“Questo è un ambito di studi molto pericoloso, mio marito stesso ha tentato di uccidermi per molto meno. Ex marito. Primo ex marito.

Non mi aspettavo che il nostro rapporto avrebbe preso questa piega.”

Tharayya

 

I draghi!

Sono arrivati davvero, vi rendete conto?

Dopo un piccolo assaggio fornitoci un po’ di tempo fa con Dragonbones, finalmente possiamo vedere le loro grosse ombre alate proiettarsi sui campi di Tamriel.

Eppure, queste magnifiche creature non sono semplicemente sbucate fuori dal nulla. È stata percorsa una strada molto lunga, che ha avuto inizio con il ritrovamento di due metà di una tavoletta molto speciale…

 

Ma andiamo per ordine. Vi diamo il benvenuto a Frostvault!

 

Eastmarch, estremo nord. Quando non sei alla ricerca dell’avventura, è lei che ti trova.

Poco distante dal sentiero battuto, una grossa porta in bronzo si staglia incastonata nelle rocce della montagna. Chi riuscirebbe a resistere alla tentazione di entrarci?

L’aria gelida ci punge subito il viso. Siamo nel ventre della montagna, il ghiaccio e la neve regnano indisturbati, eppure questa non è una caverna abbandonata.

Dei carri colmi di provviste sono fermi nelle vicinanze della porta e possiamo notare anche delle tende in lontananza. Avvicinandoci all’accampamento incontriamo Tharayya, una giovane redguard, molto lontana dal caldo del deserto da cui proviene.

La donna è molto pragmatica, e, ancor prima di presentarsi, ci propone un pagamento doppio rispetto a quello che immagina abbiamo ricevuto per indagare in quel luogo. Il suo obbiettivo è quello di esplorare e studiare queste rovine dwemer appena venute alla luce.

Dopo averle rivelato che ci troviamo lì per caso, riceviamo la proposta di fare da guardia del corpo per la combriccola alle sue dipendenze.

La redguard, che, come potevamo immaginare, è una storica appassionata all’eredità lasciata dai Dwemer, è accompagnata da: Landal, un bretone studioso dei goblin (sul serio?!); Ranja, uno scassinatore; Burr, Alereth e Soriel.

La strana presenza di Landal ci viene subito chiarita, infatti la caverna è diventata un rifugio per tutte le creature che mal sopportano i rigidi inverni del nord, e tra queste vi è una tribù di goblin abbastanza numerosa.

Tornando al nostro compenso, l’offerta è troppo vantaggiosa per non accettare. Possiamo infatti tenerci tutte le cose di valore che troveremo, tranne quelle che abbiano un’importanza storica. Ci prepariamo quindi ad avviarci.

Mentre muoviamo i primi passi, Tharayya ci accenna anche alla presenza nella cava di un artefatto molto particolare, chiamato Wrathstone (Pietra dell’Ira), senza però darci molte informazioni al riguardo, se non che nelle leggende si dice che l’oggetto abbia aiutato a mantenere un’intera era di pace.

Presto ci accorgiamo che il campo della spedizione è molto più esteso di quanto sembrasse. Tharayya ha molta manodopera e dei poveri e infreddoliti operai, esortati dal loro capo, preparano dei carri con attrezzi da scavo e provviste per seguirci, anche se molto lentamente.

Faremo da apripista.

Dopo aver attraversato un arco ghiacciato, ci troviamo davanti i primi nemici, degli Ogre non particolarmente amichevoli si stanno abbeverando da delle piccole pozze d’acqua cristallina, probabilmente formate dal ghiaccio sciolto.

Nonostante la stazza, non sono un problema per noi, e una volta eliminati continuiamo la marcia fino a sorgere le tende dei preannunciati goblin.

Eppure ci rendiamo conto che non dobbiamo per forza scontrarci con loro. Seguendo il corso di un piccolo specchio d’acqua sulla sinistra, cercando di mantenere tutti un passo felpato, possiamo proseguire senza problemi.

O almeno fino a quando rigagnolo non si trasforma in un vero e proprio fiume, le cui acque ci porteranno proprio ai piedi di un enorme troll delle nevi, che sembra essersi dato come missione della vita quella di proteggere una porta, che a questo punto ci è venuta molta voglia di attraversare.

La battaglia con esseri del genere non è mai semplice. Dobbiamo proteggerci la testa dai sassi che fa crollare dal soffitto ogni volta che sbatte i poderosi pugni a terra, ma riusciamo in qualche modo a cavarcela.

Dopo averlo sconfitto, abbiamo finalmente due secondi per osservarne il cadavere. Non è inusuale che i troll indossino rudimentali armature, ma ciò che ci sconvolge è che quella che notiamo sulle possenti braccia e gambe sono pezzi di fattura nanica.

La porta è davvero piccola, ad altezza d’uomo, eppure è incastonata in un architettura molto più ampia. Bronzo e simboli squadrati gridano “dwemer” da tutte le parti.

Dando un’occhiata ai carri alle nostre spalle ci rendiamo conto che non riusciranno mai a passare, tuttavia preferiamo concentrarci sulla porta da spingere. Sentiamo il rumore del ghiaccio che si rompe nelle fenditure, ma ci troviamo senza problemi dall’altro lato.

Qui uno spettacolo magnifico ci lascia senza fiato.

Una gigantesca macchina dwemer fuori uso è adagiata nel bel mezzo di un atrio circolare.

Mentre rimaniamo senza parole a osservare la mole inquietante del costrutto, dalle nostre spalle Tharayya si getta a esaminare il metallo antico di secoli. La storica in un attimo capisce che sarebbe impossibile continuare senza attivare l’enorme marchingegno, e ci chiede di recuperarne la gemma dell’anima mancante.

L’idea non ci convince troppo, ma sembra non esserci altro modo per proseguire, quindi ci mettiamo alla ricerca.

Dopo aver attraversato qualche corridoio, giungiamo in ampie zone in cui il confronto con i goblin non è più rimandabile. Questi mostriciattoli si sono ben integrati nell’ambiente e sembra si siano abituati a quelle profondità e temperature.

Nonostante ci faccia un po’ pena doverli “disturbare” dall’equilibrio che hanno trovato, scopriamo presto che sarà inevitabile.

I goblin, infatti, hanno posizionato su un trono meccanico la gemma dell’anima, considerandola un oggetto sacro.

Il trono è protetto da un goblin più minaccioso e pericoloso degli altri, che brandisce un bel martello da guerra. Prima di attaccarlo, qualche membro della spedizione prova a parlarci, senza ottenere però nessun risultato diverso da un ematoma cerebrale.

Senza perderci d’animo lo affrontiamo e ne usciamo vincitori.

Mentre prendiamo la gemma, ci accorgiamo che qualcosa sta sgattaiolando in mezzo alle nostre gambe. Un membro della spedizione ci informa che lo skeevaton, un topo meccanico a carica, ha ricevuto direttive di riconoscere e indicare la strada che ci porterà a un altro pezzo necessario al costrutto: una sfera equilibrante.

Consci che senza il piccolo topolino di latta ci perderemmo nelle profondità del monte, ci mettiamo al suo seguito.

Ovviamente lo skeevaton passerà molto velocemente attraverso trappole e nemici, che noi invece dovremo superare con difficoltà.

In particolare ci colpisce un sistema di protezione dwemer ancora attivo dopo chissà quanti anni. Questo consiste in un fascio di luce concentrata che, muovendosi rapidamente e casualmente, ci rende molto difficile il passaggio. Anche solo sfiorare quel fascio ci trancerebbe di netto un arto.

La corsa del topolino sembra continuare all’interno di una camera, con un unica porta sul lato opposto.

Questa è molto più grande delle altre ed è protetta da un centurione meccanico. Di questi ne abbiamo incontrati e sconfitti davvero tanti, quindi ci fiondiamo su di lui senza pensarci troppo, pensando di poterlo colpire dove gli fa più male.

Purtroppo le cose non sono così semplici.

Questo costrutto sembra infatti essere un modello più avanzato rispetto a quello che conosciamo, capace di generare uno scudo magico che lo protegge perfettamente da qualsiasi colpo.

La cosa non sarebbe molto problematica in generale, se non fosse che, mentre lo scudo viene generato, una serie di fasci di luce come quello che abbiamo incontrato precedentemente proverà a colpirci.

L’unico modo per uscirne vivi è quello di continuare a muoversi agilmente, e colpire il centurione poche ma efficaci volte.

Al termine della battaglia siamo stremati e sudati nonostante il freddo.

La curiosità di scoprire cosa proteggeva questa meraviglia della meccanica Dwemer ci impone di andare avanti, ma rimarremo molto delusi. La porta alle spalle del centurione non sarà altro che una scorciatoia per tornare all’enorme costrutto dove abbiamo lasciato Tharayya.

L’unica consolazione è che lo skeevaton ci aveva condotto nel posto giusto. Il centurione possedeva una sfera equilibrante, che siamo riusciti (fortunatamente) a non danneggiare durante lo scontro.

Passiamo quindi la gemma e la sfera a Tharayya, palesemente entusiasta come un bambino al festival della Nuova Vita.

Si fionda subito ad armeggiare con l’enorme relitto, sommersa da rumori metallici. Dato che non abbiamo altro da fare, per la prima volta prendiamo fiato e ci guardiamo attorno.

Sulle pareti, alcune lastre di bronzo riportano delle immagini che mai ci saremmo aspettati, quelle minacciose di alcuni draghi!

Non abbiamo molto tempo per esaminarle, purtroppo. A quanto pare, a Tharayya manca ancora un pezzo per far funzionare quella diavoleria, un “convertitore d’energia”. Sospirando, possiamo solo rimetterci in marcia.

Siamo ormai in una delle zone più profonde e buie della grotta, le nostre meningi gelano e i denti a battono. Anche qui i goblin hanno costruito i loro accampamenti. La cosa ci stupisce e ci fa rivalutare questa strana ma incredibilmente versatile razza.

Il convertitore fortunatamente è nelle mani di uno sciamano goblin, che non fa molta resistenza sotto i nostri colpi di spada. Sperando di aver finito di girovagare in un posto del genere, torniamo dalla storica, prima che possiamo.

Appena il pezzo viene inserito nel ventre di metallo, il terreno inizia a tremare e qualcosa a muoversi. Pregando di non aver sbagliato a riporre la nostra fiducia in Tharayya, osserviamo la scena.

L’enorme costrutto dwemer si alza, scoperchiando delle celle energetiche incandescenti, il calore spazza via tutto il gelo nella stanza, e scioglie istantaneamente parte del ghiaccio. Una chela si muove caricandosi all’indietro, e, nel momento in cui viene spinta in avanti dal poderoso meccanismo del braccio, rilascia una fortissima ondata di energia che sfonda il muro (e la porta) davanti a sé.

La macchina poi si disattiva del tutto, ormai priva di energia.

Lo spettacolo di una tale potenza distruttiva ci fa scendere un brivido lungo la spina dorsale, ma comunque lo sforzo è stato ripagato. Dietro il muro ancora fumante, si apre quella che sembra una strada maestra che ci apprestiamo a percorrere.

Mentre i nostri passi riecheggiano su un enorme ponte di metallo, osserviamo gli archi semicircolari sulla nostra testa. La maestosità di questa costruzione ci lascia senza fiato.

L’unica cosa che può esserci alla fine di questo percorso è la Wrathstone.

I nostri muscoli si tendono quando sentiamo il rumore di passi non nostri. Passi meccanici, metallici. In lontananza, un centurione di pattuglia percorre il suo giro attorno a una sfera di metallo molto grande incastonata nel terreno.

Guardandoci attorno ci accorgiamo di essere probabilmente nell’epicentro di un qualche meccanismo, sospesi su una piattaforma sul vuoto. Sotto di noi, solo il ventre buio del monte.

Tharayya, arrampicatasi in una posizione soprelevata, ci darà delle direttive per superare quella che sembra essere l’ultima linea di difesa.

Un po’ intimoriti dalle ultime esperienze avute con i costrutti, attacchiamo il centurione, che si rivela essere uno di quei modelli che conosciamo. Sconfitto questo non abbiamo un attimo di tempo per riprenderci che un altro ne cadrà dal cielo. Alzando lo sguardo notiamo un meccanismo che ne rilascerà altre due.

Una volta aver smontato anche questi, la piattaforma su cui siamo inizierà a tremare. Le scariche di energia che coprono la sfera di metallo centrale non ci trasmettono una buona sensazione. Che stia per crollare tutto?

In nostro soccorso, Tharayya ci chiede di avvicinarci a degli skeevaton (arrivati chissà quando) e di fidarci di lei. Non potendo fare altro, ci avviciniamo al topolino sperando nel meglio.

Senza rendercene conto, in un solo istante la nostra essenza viene risucchiata, diventando una sola con quella dello skeevaton.

Sentendoci un po’ strani e stretti, non possiamo fare altro che eseguire le direttive della storica. Questa infatti sembra essere anche molto esperta di meccanismi.

Seguendo le istruzioni, entreremo nella sfera centrale grazie alla nostra piccola stazza, assorbiremo l’energia e la rilasceremo nei pressi di alcuni punti chiave, in modo tale da disattivarla. Il tutto senza poter muovere braccia e gambe, e con l’aspetto di un topo a molla.

Terminato l’incarico, non abbiamo neanche il tempo di esaminare le nostre sensazioni che, una volta fuori, veniamo subito rispediti nella nostra solita forma fisica.

Eppure i guai non sono finiti. Anche se la sfera è stata disattivata, un ulteriore guardiano si presenta.

Con le fattezze di un centurione, questa enorme sfera di metallo omicida estrae braccia armate di lame, fuoco e fulmini.

Individuiamo però subito il suo limite. Infatti, la sfera non ha la possibilità di muoversi oltre il centro della piattaforma, può solo girare su se stessa. Inoltre, essendo connessa al nucleo centrale, Tharayya ci aiuta più volte a skevatonizzarci per entrare al suo interno e destabilizzarla.

Il processo è lungo e ripetitivo, ma la nostra vita è una motivazione più che valida per non arrendersi.

Alla fine del combattimento saremo stremati, ma avremo ottenuto il nostro obbiettivo, la Wrathstone apparirà su un altare di metallo.

Tharayya, nonostante la vittoria, è pensierosa. Ora che finalmente può esaminarla, sembra proprio che la tavoletta non sia di origine nanica.

Il materiale di cui è composta e i simboli che la ricoprono non sono tipici dei Dwemer, probabilmente l’artefatto appartiene ad un epoca ancora più antica.

Perché allora il popolo più ingegnoso di Tamriel ha protetto la Pietra in modo così mortale? Non doveva essere semplicemente un artefatto simbolico?

La tavoletta, evidentemente, non è ciò che sembra…

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